Proseguiamo i nostri incontri con il Giornalista e scrittore Benito Li Vigni. Oggi ricorre il ventennale dell’attentato in cui morì il giudice Paolo Borselino e 5 uomini della sua scorta: Li Vigni ripercorre le tappe che hanno portato a quell’omicidio sul quale ancora oggi si sta cercando di fare chiarezza. Necessario quindi tornare indietro alla strage di Capaci di 59 gg prima e di quanto accaduto fino all’uccisione del giudice Falcone. Giovanni Falcone era riuscito ad infliggere alla Mafia una serie di sconfitte, nella celebrazione del maxiprocesso ben 180 capi mafia erano stati portati a giudizio e 80 furono condannati. Operando in solitudine, il Giudice dichiarò che “solo una stanza era stata ripulita, occorreva ora salire nella stanza superiore”, intendendo che all’azione contro la mafia doveva fare seguito l’indagine dei rapporti di questa con la Politica. Fu immediatamente esautorato e trasferito a Roma, da dove aveva comunque continuato ad indagare. Fino a quel giorno in Sicilia la Mafia aveva ucciso – nel silenzio dello stato – i giudici: Scaglione, Terranova, Chinnici, Costa, Scopelliti, Montalto, Livatino; e i commissari Boris Giuliano, Tandoy, Nino Cassarà, Saetta; i politici: Mattarella e Rostagno; i giornalisti Mario Francese, Mauro De Mauro e Giuseppe Fava; e ancora: Alberto Dalla Chiesa e decine di sindacalisti. Una autentica mattanza di servitori dello Stato. Occorre ricordare che Falcone subì, presso la sua villa ad Addauria, un attentato che fu provato essere opera dei servizi segreti. L’uomo che scoprì la borsa contenente l’esplosivo – D’Agostino – fu barbaramente ucciso assieme alla moglie. Circa questo attentato, che precedette la strage di Capaci in cui Falcone fu ucciso, nessuno ad oggi avanza delle ipotesi. Anche nel caso di Borsellino si ipotizza che fu proprio l’opposizione del giudice alla trattativa Stato-Mafia a decretarne l’esecuzione. In quegli anni una selva di politici ambigui è venuta a galla dipingendo uno scenario che il Dott. Li Vigni non esita a definire disgustoso.
A tutto ciò fece seguito un’opera di depistaggio dei pentiti che tuttavia non ha impedito il venir fuori di una ipotesi terribile: il telecomando che ha provocato l’esplosione in cui perse la vita Borsellino fu azionato da Montepellegrino, sopra via D’Amelio, dove giace un castello che si ipotizza essere sede occulta dei servizi segreti.
Le ultime osservazioni di questo lungo colloqui si concentrano poi sulla vicenda risalita alla ribalta su tutti i quotidiani: il ruolo presunto di Marcello Dell’Utri e i suoi rapporti con l’ex-premier Silvio Berlusconi, con la figura di Vittorio Mangano sullo sfondo, il famoso “stalliere” di Arcore riguardo al quale i due politici hanno più volte espresso ammirazione e dichiarato si tratti di un eroe, giungendo fino ad ipotizzare la necessità di togliere il nome di Falcone e Borsellino dall’aereoporto di Palermo.
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